Quanto davvero ascoltiamo le persone quando ci parlano? L’esperto spiega quello che accade durante una conversazione
Sarà capitato anche a te, in un momento in cui stavi conversando con una tua amica, o magari con un tuo familiare, di renderti conto che, in realtà, l’ultima cosa che stavi realmente facendo era ascoltarlo davvero.
Nella tua testa, in quel preciso momento, balenavano pensieri di ogni sorta: cose che avresti dovuto fare e che stavi rimandando, impegni che avresti avuto di lì a qualche ora, scadenze delle quali temevi di dimenticarti.
Un’altra circostanza che si verifica di frequente è il “pericolo” che, mentre una persona ci parla, siamo talmente concentrati sulla risposta che dovremmo darle da non ascoltare nemmeno la fine del suo discorso. Quanto spesso ti capita di trovarti in una situazione del genere? E soprattutto, quali sono le ripercussioni a cui questo comportamento può portare nella relazione con l’altro?
A rispondere a queste domande comunissime ci pensano Leonardo Pagano e Jacopo Bruni, rispettivamente dottore in psicologia forense e psicologo forense e dell’attività evolutiva. I quali, innanzitutto, partono da una differenza fondamentale: una cosa è l’ascolto, un’altra è il semplice “sentire”.
Quest’ultima attività, precisano, è una semplice attività sensoriale spontanea, che si differenzia dall’ascolto in quanto quest’ultimo, invece, incarna un’attività ben più complessa. “È l’atto – spiegano – con cui catturiamo consciamente un messaggio dal mondo esterno“.
Soprattutto, specificano, ascoltare implica una scelta a monte. Mentre la scelta di sentire qualcosa, spesso, è indipendente dalla nostra volontà, per ascoltare qualcuno serve attenzione, e soprattutto consapevolezza. Ma cosa accade, più nello specifico, quando ci sforziamo di ascoltare qualcuno, pur non riuscendo nell’impresa?
Gli psicologi lo spiegano chiaro e tondo: in una società che privilegia la velocità, l’egocentrismo e la rapida risposta agli stimoli, ascoltare davvero è un lusso che solamente in pochi possono concedersi. O meglio, che si è in grado di praticare.
Estremamente più semplice, invece, è concentrarsi sulla risposta che dobbiamo dare all’interlocutore nel tentativo di fare bella figura e di captare la sua attenzione. Perché, ribadiscono gli psicologi, è esattamente questo che ci impone la società di oggi: essere magnetici, pronti e reattivi, anche a scapito del rapporto con l’altro.
“L’arte del parlare bene è sempre stata valorizzata, mentre l’ascolto è sempre stato messo in secondo piano“, dicono gli addetti ai lavori. Ma qual è, allora, la chiave per riappropriarci della capacità di ascolto che, in realtà, è insita in ciascuno di noi? Gli psicologi hanno fornito una spiegazione anche a questo.
Ascoltare l’altro, innanzitutto, è una questione di tempo. Se sappiamo che stiamo per intavolare una conversazione con qualcuno a cui teniamo, la prima regola è: dimenticarsi delle lancette dell’orologio che scorrono.
L’altro, fondamentale presupposto è quello di dare il giusto valore al silenzio. Non prestare attenzione esclusivamente alle parole che ci vengono dette, bensì anche alle pause e ai silenzi dell’altro. È nostro compito, successivamente, ritagliarci qualche momento di silenzio per pensare e riflettere su ciò che abbiamo ascoltato. Sono queste, concludono gli psicologi, le basi per una corretta conversazione.
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