Salari medi, l’Italia è penultima tra gli otto Paesi più importanti d’Europa: il dato che fa riflettere
In molti paesi, il tema dei salari è al centro di un acceso dibattito. Quando si parla di retribuzioni, non si tratta solo di numeri, ma di un riflesso concreto del benessere sociale ed economico. In Italia, infatti, la questione del salario medio ha assunto una rilevanza crescente negli ultimi anni, soprattutto alla luce delle dinamiche del mercato del lavoro e delle difficoltà economiche vissute da milioni di lavoratori.
Negli ultimi decenni, i salari medi italiani sono stati caratterizzati da una crescita lenta e spesso sotto la media europea, con un aumento che non ha mai tenuto il passo con l’inflazione o con la crescita della produttività. La produttività del lavoro, che misura quanto il lavoro contribuisce al valore creato, è aumentata costantemente, ma ciò non si è tradotto in un miglioramento proporzionale dei salari. Questo divario crescente tra produttività e retribuzioni ha portato a una situazione di stagnazione economica e a una percezione diffusa di insoddisfazione tra i lavoratori.
Il dato più allarmante, però, emerge quando confrontiamo l’Italia con gli altri paesi europei. Secondo un recente studio, l’Italia occupa una posizione preoccupante nella classifica dei salari medi tra otto paesi europei: Austria, Belgio, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Spagna e Svezia. Il salario medio italiano nel 2022 era di 31.530 euro, un dato che colloca il nostro paese al penultimo posto nella graduatoria, precedendo solo la Spagna, che con 31.000 euro chiude la classifica.
Questo dato evidenzia un forte divario rispetto agli altri paesi europei, dove i salari medi si aggirano tra i 41.000 e i 62.000 euro. Ad esempio, il salario medio della Danimarca, che guida la classifica, è oltre 20.000 euro superiore a quello italiano. La differenza diventa ancora più marcata quando si osservano i tassi di crescita dei salari, che in Italia sono tra i più bassi, con un incremento del 13% dal 2010 al 2022. In confronto, paesi come la Svezia hanno visto un aumento del 37% dei salari in questo periodo, mentre la Francia è cresciuta del 23%.
Salari medi, il confronto con la crescita della produttività
Ma non sono solo i numeri dei salari a raccontare una storia preoccupante. La produttività in Italia, infatti, è aumentata, ma non in modo sufficiente da giustificare questo stallo nei redditi dei lavoratori. Dal 2010 al 2022, la produttività del lavoro nel nostro paese è cresciuta mediamente del 3,2% ogni anno, con punte molto più alte nel settore dei servizi (+7,8%) e nel commercio (+16,3%). Tuttavia, nonostante questo incremento, gli utili delle imprese non sono stati reinvestiti adeguatamente, e gran parte di questo valore aggiunto non si è tradotto in maggiori stipendi per i lavoratori.
Il settore del commercio, in particolare, ha registrato un aumento del 44,9% del Margine Operativo Lordo (MOL) tra il 2015 e il 2021, mentre gli investimenti sono stati praticamente fermi (+1,6%). Questo squilibrio tra crescita produttiva e stagnazione salariale ha alimentato una spirale inflazionaria, in cui l’aumento dei costi della vita non è stato accompagnato da un aumento corrispondente del potere d’acquisto dei lavoratori.
In questo scenario, le politiche economiche italiane hanno avuto un ruolo fondamentale, con pochi segnali di ripresa concreta e investimenti insufficienti nei settori chiave per la crescita. E mentre la Svezia e la Germania hanno visto un aumento dei salari reali rispettivamente del 15% e 14%, in Italia e Spagna i salari reali sono effettivamente diminuiti, rendendo la situazione ancora più critica.
Salari medi, come cambiare la tendenza
Questo quadro non solo evidenzia un problema strutturale del mercato del lavoro italiano, ma pone anche interrogativi sulla capacità del paese di recuperare terreno rispetto agli altri stati membri dell’Unione Europea. Cosa potrebbe cambiare per invertire questa tendenza? Quali politiche potrebbero essere adottate per garantire una crescita equa e sostenibile per tutti i lavoratori? Il divario tra produttività e salari, insieme al confronto con i paesi europei più prosperi, lascia intendere che le risposte potrebbero dover arrivare da un ripensamento completo delle politiche salariali e industriali italiane.
In attesa di risposte concrete, la situazione resta una delle sfide più urgenti per il futuro dell’economia italiana.